Lettera dai soci lavoratori

Lettera dai soci lavoratori

27 Aprile 2021 0 Di editor

Cari soci, care socie, volevamo condividere con voi il punto di vista dei soci lavoratori dell’anno agricolo passato e fare delle piccole premesse su quello che sta per cominciare.

Per quanto riguarda l’anno 2020, data la situazione emergenziale, è stato necessario posticipare le prime raccolte per poter permettere a tutti i punti di distribuzione di sentirsi sicuri e pronti per accogliere nuovamente i soci. Questo però non ha comportato nessun tipo di spreco degli ortaggi in quanto in primavera il processo di maturazione delle verdure è molto lento e più gestibile.

Il primo anno siamo partiti con un orto molto “semplice”, con poche varietà per minimizzare alcune variabili e quindi le incertezze di avere verdure a sufficienza nelle varie settimane.

Col passare del tempo stiamo conoscendo di più il luogo, l’ambiente e il terreno in cui andiamo a coltivare e partendo da uno dei principi dell’agroecologia, che l’ambiente che è equilibrio è il bosco, abbiamo iniziato a rendere più articolato, complesso e variegato il tutto.

Siamo passati da 45 varietà di ortaggi coltivati a più di 90.

Da file monocolturali siamo passati a file policolturali, cioè abbiamo iniziato ad attuare alcuni tipi di consociazione, ad esempio: peperoni con insalate, topinambur con rucola, pomodori con rucola, carote con ravanelli, zucche con mais e fagioli, cavolo nero con cicoria, ecc…

Abbiamo anche iniziato ad introdurre sui nostri campi le prime piante da frutto cercando di imitare, appunto, la complessità e la policolturalità che ci offre  un ambente boschivo.

 Tutte queste “migliorie” hanno fatto si che la pezzatura, la qualità e il sapore delle verdure inizino ad essere più apprezzabili. Sappiamo benissimo, però, che la strada è ancora lunga e ci sono ampi margini di miglioramento; infatti abbiamo comunque avuto un po’ di problemi soprattutto col periodo estivo con il vivaio da cui ci riforniamo (tempistiche e varietà) e con l’acquisto di alcuni semi che non hanno dato il risultato sperato.

Con l’arrivo dell’autunno, invece, i problemi sono stati di carattere faunistico: cinghiali, vacche e istrici ci hanno costretti a condividere con loro gli ortaggi nonostante le dovute precauzioni (recinzioni elettriche e fili spinati).

Tutte queste difficoltà ci hanno reso ancora più evidente cosa voglia dire la condivisione del rischio e il dare fiducia a lungo termine ad un progetto agricolo.

Inoltre, come tutti ben sappiamo, la situazione dei vari confinamenti ha influenzato tutto questo anno.

Questo, come tutti/e noi sappiamo, è un progetto che ha bisogno di tanta partecipazione e avevamo il timore di non raggiungere gli obbiettivi prefissati. Essendo però una realtà a carattere mutualistico, le persone hanno potuto raggiungere i campi ed è stato un qualcosa che ci ha dato grande entusiasmo, ma anche consapevolezza di quanto la CSA come luogo fisico e sociale sia diventato importante e vitale per tante persone.

L’anno che si sta aprendo sarà ricco di sfide, una tra queste sarà sicuramente sviluppare e affinare gli strumenti per stare insieme e condividere sempre di più i benefici di questo progetto.

Siamo sicuri che con il minimo comun denominatore di mettere le mani nella terra riusciremo a rendere il tutto ancora più bello di quello che è.

Un abbraccio,
Saverio e Riccardo

Nel capitalismo quasi tutto è “recintato”: non solo le proprietà e le terre ma anche i nostri corpi, il nostro tempo, i nostri metodi di educazione, la nostra salute, la nostra attenzione, la nostra mente.
Il rimedio contro “la recinzione” consiste nel trasportare sempre più il mondo in un bene comune.
I beni comuni includono risorse (la terra, la conoscenza) che in genere sono al di fuori di qualsiasi tipo di mercato. Il commoning, la condivisione, è la messa in atto di questa idea: significa spostare sempre di più la vita fuori dai confini della mercificazione e dello sfruttamento. Il suo fascino consiste nel fatto che è realizzabile ovunque, se c’è una comunità disponibile.
Il commoning produce un’esperienza potente come quella di essere parte di qualcosa di più grande delle nostre vite individuali, di dimorare “su questa terra dell’umanità” non come estranei, come ci vuole il capitalismo rispetto agli spazi che occupiamo, ma sentendoci a casa nostra.
Silvia Federici, articolo di Jordan Kisner, The New York Times.